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"Il canto delle nuvole"

Raccolta di poesie

Prefazione dell’autore

 

Se pensavate di trovarvi davanti ad una raccolta di canti sublimi e immortali, allora devo subito avvertirvi che avete sbagliato libro.

Se, invece, più semplicemente, volete vivere delle sensazioni o delle storie che potrebbero essere state, in qualche modo, non molto diverse da quelle della vostra vita, allora questa potrebbe essere una lettura adatta allo scopo. Lo stesso discorso andrebbe fatto se vi state avvicinando a questo libretto con l’idea di distrarvi o di passare il tempo: in tutta sincerità ho paura che non possa essere così, come d’altronde credo che accada un po’ con tutta la poesia. Non troverete di sicuro gioia e letizia. Più facile sarà vivere entro atmosfere cupe.

D’altronde penso di scoprire l’acqua calda dicendovi quel che già sapete: che i poeti amano nutrirsi di buio e di dolore.

Attingono volentieri dalla sofferenza, dalla nostalgia, dalla melanconia e dai rimpianti. O da certe suggestioni struggenti che possono nascere dalla solitudine. E da tutta quella serie di palpiti del cuore nei quali pare talvolta non vi sia luce alcuna, ma solo disperazione.

Forse perché lì è più probabile che insorga quella strana patologia dello spirito che si chiama “ispirazione”.

Vale a dire, quella capacità di creare che dura quel che dura, che se non l’afferri subito al volo l’hai perduta per sempre. Effimera, passeggera come un vento che quando ti attraversa, talvolta leggero, altre volte impetuoso, poi se ne va senza quasi che tu te n’accorga.

Ma che ti lascia sulla carta due scarabocchi di parole che, non saranno sublimi o immortali, ma sono di certo l’anima mia.

Attenzione però, perché vivere le poesie degli altri non è cosa di poco conto. Mai.

Diceva Woody Allen che leggere le proprie poesie agli amici è un po’ come stare seduti sulla tazza del water di casa propria (mentre si fanno le proprie cose) con la porta aperta e gli amici che ti girano attorno bevendo il thè. Immagine tanto prosaica, quanto vera. E sì, perché con la poesia si entra nell’intimità, nei pudori, nel cuore profondo del poeta. Guardate l’incredibile vantaggio che, alla fine di quelle letture, voi avrete su di lui. Di voi lui ne saprà quanto prima, magari niente, ma voi di lui saprete tutto di tutto, perché con la suggestione di quelle parole si apre lo scrigno di tutti i suoi segreti. Dunque non sarà mai un passatempo: la poesia impegna la mente e il cuore.

Io ho provato a mettere in gioco tutte due le cose, vedrete. La prima con la matematica, le scienze e la tecnologia che sono tra i miei temi ricorrenti, la seconda con la vita stessa nella quale, com’è naturale, non ho niente da insegnare a nessuno. Talvolta ho tentato la carta dell’ironia o dell’autoironia (inesauribile àncora di salvezza) sperando di strappare un sorriso. Ma, anche lì (ormai avete capito), sarà sempre un sorridere con l’angolo della bocca e raramente con il cuore. Non che nella mia vita sia stato tutto nero: mentirei se dicessi di non aver conosciuto anche generose parentesi di felicità. Scoprirete anche questo tra le righe. È probabile. Ma poi il bilancio finale è quello che è, lo sapete meglio di me. Ve l’ho già detto: non ho nulla da insegnarvi. Se mai, invece, ho voglia di condividere con voi il senso della vita. O il non senso, s’intende, quando, inesorabilmente, questo lato dell’esistere ci si parerà innanzi. E conto di farlo raccontandovi delle storie, le mie storie, naturalmente. Lo so: la poesia dovrebbe avere valori assoluti più alti che non mettersi a raccontare storie e storielle, ma confesso che a me piace la poesia “narrativa”, per così dire. Che è poi quella che, mi pare, piaceva anche ai poeti greci dell’antichità.

Se talvolta sono andato oltre le righe, dando la sensazione di voler “sputar sentenze”, vi prego di perdonarmi. E di capirmi.

Non è sempre facile, quando si “gioca” a fare il poeta e si è presi dalla suggestione delle parole, liberarsi dalla tentazione di scrivere qualcosa che sia molto importante, epigrafico, solenne, fatale, perfino decisivo per le sorti dell’umanità. Non so se questo sia una debolezza di tutti i poeti: quello che so è che io, forse, non ne sono del tutto immune. A tanta euforia, a tale entusiasmo (e a tale ingenuità) conduce talora il gusto di poetare. All’illusione (poveri noi!) di aver saputo guardare la Storia! D’altronde, che piaccia o no, siamo dei visionari: questo lo si è sempre detto e accettato, non senza compiacimento. Due cenni, prima di lasciarvi alla lettura. Il primo a Venezia, la città della mia adolescenza, per la quale nutro contrastanti sentimenti di disillusione e d’amore. D’amore, per le sue acque maleodoranti e per le sue pietre antiche. Di disillusione, per le sue genti tra le quali, da un certo momento in poi e senza che ne capissi mai appieno le ragioni, non mi sono più ritrovato.

L’altro cenno è per gli aeroplani e per le nuvole. Tra loro e con loro ho vissuto e sognato. Ma anche lì non tutto si è colorato d’azzurro.

Perché, se è vero che per le macchine volanti ho sempre provato sviscerato amore, è pur vero che con gli anni mi sono accorto, non senza amarezza, che anche l’umanità che vola è fatta di ingratitudini e tradimenti. Così che, alla fine, posso dire d’aver amato i bulloni e i metalli assai più che gli uomini. Quelli sì, fedeli compagni, incapaci di malevolenze, di disillusione e di dolore. Con questo, sia chiaro, non è che io abbia smesso di sognare. Ma, si sa, i sogni non arrivano mai da soli. Bisogna rincorrerli, inseguirli. Tutta la vita.

Ecco, in questo, forse la poesia potrebbe darci una mano.

 

 

Leggiti questa cosina, tanto per cominciare:

                     

                                                   

La matita

Vivo con la matita in tasca

tra i rumori della città

o i silenzi delle spiagge

aspettando un verso di poesia

scritto sul biglietto di un tram.

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